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Revisione dell'assegno di mantenimento a favore del figlio divenuto maggiorenne: a chi spetta l'onere della prova in ordine alla raggiunta autosufficienza economica da parte del figlio?

Spesso succede che le condizioni economiche del genitore, a carico del quale era stato posto l'assegno di mantenimento, siano nel tempo peggiorate e che il figlio, a favore del quale l'assegno era stato disposto, sia nel tempo divenuto maggiorenne.
In tal caso, si assiste alla possibilità di una “revisione” del contributo al mantenimento.
Ma a chi spetta l'onere di provare se il figlio divenuto maggiorenne abbia o meno raggiunto l'autosufficienza economica?
Nel caso di cui ci siamo occupati le condizioni economiche del padre erano peggiorate a causa del mancato introito del canone di locazione di una casa di proprietà e del dovere di contribuzione a favore di altra figlia avuta da una successiva relazione more uxorio; inoltre, il figlio aveva ormai raggiunto da 5 anni la maggiore età, terminato gli studi superiori e svolto lavori saltuari.
Sul punto la Corte di Cassazione ha avuto modo di osservare che il genitore che chiede di essere esonerato dall’obbligo di mantenimento deve fornire la prova che il figlio è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di attività lavorativa sia a quest’ultimo imputabile (Cass. 2289/2001; Cass. 11828/2009). Tuttavia, sempre la Corte di Cassazione ha rilevato che vige un principio di autoresponsabilità del figlio maggiorenne, secondo il quale questi non può pretendere la protrazione dell’obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura (Cass. 18076/2014; S.U. 20448/2014).
Alla luce di tali orientamenti, il Tribunale di Firenze ha ritenuto che il periodo di quattro anni dopo la cessazione del percorso scolastico possa essere ritenuto un periodo congruo per la ricerca di un lavoro da parte del figlio o, per lo meno, per maturare un’esperienza tale da poter essere ritenuto idoneo all’attività lavorativa.
Decorso tale periodo, il mantenimento cessa di essere un diritto, divenendo una facoltà del genitore, che può proseguire ad aiutare il proprio figlio in adempimento di un obbligo morale e secondo le proprie possibilità.
Si verifica, dunque, in capo al figlio (o all’altro coniuge), che pretende il mantenimento, “un’inversione dell’onere della prova” nel senso che il figlio (o l’altro coniuge) dovrà provare che il fatto di non avere ancora reperito un'occupazione non dipende dalla inerzia o dal rifiuto ingiustificato di svolgere una qualche attività lavorativa.
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